I vignaioli che fanno il vino senza cantina
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Cibo

I vignaioli che fanno il vino senza cantina

Mi trovo in Provenza e sto cercando due vignaioli che a quanto pare fanno vino senza bisogno di avere uno straccio di cantina.
Diletta Sereni
Milan, IT

Primo punto: non sono facili da trovare. Non hanno un sito o un indirizzo nel senso classico del termine, per cui per raggiungerli devo far ricorso a varie opzioni: imprecare al navigatore che non ha alba di dove siamo; ottenere dai passanti indicazioni cordiali e complicatissime; andare per tentativi, cioè proprio a caso, prima prova una strada e poi l'altra. Solo un paio d'ore più tardi scoprirò che questo principio di casualità era il giusto preambolo all'incontro di oggi.

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Mi trovo in Provenza, nel Luberon, in una zona collinare vicino alla cittadina di Pertuis e sto cercando due vignaioli che a quanto pare fanno vino senza bisogno di avere uno straccio di cantina. Sono certa di essere arrivata a destinazione quando costeggio una vigna che non somiglia per niente alle vigne a cui siamo abituati. Non ha filari, ad esempio, e sembra più un'area di vegetazione spontanea con qua e là una pianta di vite (spoiler: è proprio quel che è).

Cadavre Exquis provenza

Chiocciole ovunque.

E poi ci sono le chiocciole: una miriade di minuscole chiocciole bianche abbarbicate sui fili d'erba, sulle piante, ovunque. Una specie di manto vivo che avvolge la vegetazione, come fosse appena riemersa da una dimensione alternativa. E fin qui non avevo bevuto niente.

Vignaioli senza cantina Francia

Marc e Shirine Salerno ci vengono incontro sorridenti insieme al loro cane (anche lui decorato di chiocciole). Lei energica e abituata a raccontarsi, lui silenzioso, parole calme e misurate, che sembra accettare ma non capire fino in fondo la curiosità per un metodo che lui pratica da quasi trent'anni.

Cadavre Exquis proprietari

Diletta con Marc, Shirine e il loro cane.

A un certo punto Marc e Shirine mi indicano la cantina, eccola: un grosso mucchio di terra, coperto di paglia. Il vino viene letteralmente seppellito qui e riesumato al momento di imbottigliarlo.

Hanno deciso di chiamare la loro fattoria Cadavre Exquis, cioè letteralmente "cadavere squisito", che è una citazione di un gioco dei Surrealisti dove tutti scrivono una parola senza sapere cosa scrivono gli altri e con quel che esce si compongono frasi casuali. Il gioco prende il nome dalla prima frase partorita in questo modo da Breton e compagni: le cadavre exquis boira le vin nouveau (il cadavere squisito berrà il vino novello).

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"È un gioco che mostra come la diversità possa produrre effetti poetici" mi spiega Shirine. E la diversità ha un ruolo centrale nel loro lavoro: il vigneto è una sorta di bosco commestibile, dove in 4 ettari convivono diverse varietà di vitigno (Ugni blanc, Aramon, Carignan, Cinsault, Oblun, Merlot), moltissime piante spontanee e 400 alberi da frutto, piantati nel tempo da Marc: fichi, mandorli, melograni, olivi…

Uva Provenza

Ci inoltriamo nel vigneto, le viti rarefatte e vecchissime hanno dai 70 ai 100 anni: "Il nostro metodo consiste nel creare un equilibrio nell'ecosistema della vigna, senza usare alcun trattamento." Alcun trattamento da 17 anni, nemmeno rame e zolfo, lo sottolineano più volte. "Anche gli animali - asini, cavalli, api - hanno un ruolo nel mantenere questo equilibro. È la grande biodiversità che tiene le piante in salute, oltre al fatto che non le spingiamo a produrre, prendiamo solo quel che danno."

Qui siamo ben oltre il biologico, su un approccio che sta tra la permacultura e quella che Shirine definisce agricoltura selvaggia: "seguiamo un concetto di agricoltura selvaggia per come è stato sviluppato da Fukuoka, ma a essere sinceri Fukuoka l'abbiamo letto da poco e Marc lavorava così già da decenni."

Siamo a metà agosto e l'uva è praticamente pronta, specie col caldo che ha fatto quest'anno. "La vendemmia si fa tutta a mano, passando in vigna con una botte montata su ruote, e assemblando le uve lì dentro, nel momento stesso della raccolta." Dalla botte il mosto passa direttamente nelle bonbonnes: delle damigiane di vetro che restano qualche mese all'aperto, dove avviene la fermentazione, e che in primavera vengono messe sotto terra.

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E infatti a un certo punto Marc e Shirine mi indicano la cantina, eccola: un grosso mucchio di terra, coperto di paglia, da cui sbucano qua e là i colli delle bonbonnes.

Cadavre Exquis Cantina

La cantina.

Il vino viene letteralmente seppellito qui e riesumato al momento di imbottigliarlo. Ai Salerno non serve altro se non una pala e l'energia per scavare un buco grande abbastanza a contenere le 70 damigiane, che si traducono in una piccola produzione di 30-35 ettolitri. Nessun travaso, nessuna filtrazione, niente di niente.

Faccio un veloce ricapitolo mentale di tutto quello che potrebbe andare storto nel produrre un vino in questo modo e infatti non vedo l'ora di assaggiarlo. Gran parte di quello che un sommelier considera "storto" nel vino per me è ragione di interesse, ma qui sono preparata a bere qualcosa di davvero fuori dai canoni, anche molto elastici, che compongono il mio gusto.

Per me questo non è fare vino naturale, è fare vino, tout simplement.

Mentre ci avviamo verso l'assaggio, i Salerno mi concedono altri stralci del loro vissuto: Marc fa l'agricoltore dal 1972, aveva 18 anni. È un precursore del metodo biologico, quando ancora veniva applicato in modo informale, prima della regolamentazione che in Francia avviene all'inizio degli anni Ottanta. Poi nei primi Novanta ha iniziato a fare vino, prima per autoconsumo e poi dal 2011 per la vendita, anche grazie all'aiuto di Shirine.

Damigiane sottoterra

C'è un aneddoto che racconta come l'origine di tutto: "trent'anni fa conversavo con un signore vicino alla pensione, che mi disse che faceva il vino con damigiane di vetro tenute sotto terra. Che era un vino buono, che non dava mal di testa, e che purtroppo non poteva farlo più. Allora decisi di iniziare a farlo io, nello stesso modo."

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Impossibile da verificare, è una storia che però si accorda alla semplicità con cui Marc presenta il suo metodo: come qualcosa nato ingenuamente e proseguito come se non ci fossero alternative. Non infiocchetta nulla, non si atteggia a santone, la citazione surrealista può far immaginare un'affettazione che non c'è. Anzi, da quel che vedo, ancora non ha piena consapevolezza della rivoluzione naturale che sta avvenendo nel vino: "per me questo non è fare vino naturale, è fare vino, tout simplement."

Mentre io bevo e faccio amicizia col gatto, loro sigillano le bottiglie con la cera d'api, delle loro api, e poi incollano l'etichetta col latte.

Degustazione in casa.

I concetti di cru e terroir, che hanno fatto la fortuna commerciale del vino francese, qui non sono pervenuti. Le uve vengono mischiate e il vino è imbottigliato e venduto ai ritmi del bisogno di sostentamento: "facciamo qualche mercato locale e una fiera all'anno, ma la richiesta aumenta, e se l'ideale sarebbe tenerlo sotto terra tre anni, adesso lo stiamo imbottigliando dopo appena un anno".

Cadavre Exquis Vini

Di fronte a un processo di produzione così basilare, così affidato al caso, anche rispetto agli standard dei vini naturali, ti aspetti un vino quantomeno grezzo e modesto. E invece ha un gusto pulito, fine, senza puzze o difetti. Lo assaggio nella casa che si sono costruiti da soli – potrebbe essere diversamente? – in pietra e terra e materiali di recupero.

Etichettatura bottiglie vino latte

Etichettatura con il latte bio.

Mentre io bevo e faccio amicizia col gatto, loro sigillano le bottiglie con la cera d'api, delle loro api, e poi incollano l'etichetta col latte. A questo punto è chiaro che sono dentro a un idillio bucolico primordiale, sento già le chiocciole bianche che mi si insinuano nei capelli.

Chiusura bottiglie vino con c'era d'api

Sigillatura con la c'era d'api.

Il vino rosso poi l'ho riassaggiato a Milano, insieme a un amico sommelier e a un distributore di vini naturali, che hanno un gusto più educato del mio. Alla cieca, tutti e due hanno parlato di un vino equilibrato, elegante, molto buono. Così ho raccontato loro la storia di due vignaioli provenzali, che al posto della cantina hanno una settantina di damigiane di vetro e una pala per scavare. Che dimostrano come si possa produrre vino con mezzi minimi e massima esposizione alla spontaneità della natura. E averne risultati sorprendenti, come le frasi di un gioco surrealista.